Territorio per territorio, contro la povertà educativa minorile

di Marco Rossi-Doria

La povertà è in crescita sia in termini familiari (dal 6,4% del 2019 al 7,7% del 2020) che individuali (dal 7,7% al 9,4%) (ISTAT 2021): oltre 2 milioni di famiglie e oltre 5 milioni di individui non hanno accesso ad un paniere essenziale di beni e servizi. Così, in un Paese con l’indice di vecchiaia tra i più alti del mondo (ogni 100 bambini/e e ragazzini/e tra 0 e 15 anni vi sono 184,1 persone di età superiore ai 65) e in gravissima crisi di natalità, con poco più di 9.400.000 persone di età minore di 18 anni, i minori che vivono in povertà assoluta è più che triplicato, passando dal 3,9% del 2005 al 13,5% del 2020, da 375.000 a 1.273.000. E a questi bisogna aggiungere i minori in povertà relativa, una situazione migliore ma comunque sotto la soglia di un grado accettabile di opportunità nella vita durante i decisivi anni della crescita. Sono 1.924.000 nel 2020, erano 1.237.000. Insomma, 3,2 milioni di nostri figli/e partono più o meno svantaggiati, un terzo del totale e sono concentrati nelle periferie impoverite e in particolare nel Mezzogiorno.

Per quanto riguarda il fallimento formativo e la povertà educativa misurata con l’indice IPE, i condizionamenti multi-dimensionali e la povertà di offerta formativa, insieme con la povertà materiale e culturale delle famiglie, condizionano il futuro molto precocemente. Infatti, secondo OCSE-Pisa, già prima della pandemia (2018), un quarto dei 15enni non raggiunge i livelli minimi di competenze in matematica (24%), scienze (26%) e in lettura (23%) e i dati Invalsi (luglio 2021), accentuano, purtroppo, questo trend. Sono bambini/e e ragazzi che vivono in famiglie e aree svantaggiate, che hanno più del triplo di probabilità di non raggiungere le competenze minime, rispetto ai coetanei più fortunati. Inoltre la dispersione scolastica (early school leavers), che era in lenta riduzione, ha subito un contraccolpo negativo, passando dal 13,8% (2016) al 14,5% (2018).

Molte evidenze mostrano che tutto ciò è peggiorato con il Covid.

Una simile situazione da tempo non era più accettabile, né in termini di diritti delle persone né in termini di sviluppo sostenibile ed esigeva un grande investimento pubblico. Oggi finalmente l’entrata in scena contestuale di PNRR e programmazione europea 2021-2027 (e, in particolare, del nuovo programma UE “Child Garantee”) rende finalmente possibile mettere in campo un’azione di sistema di welfare dedicato ai minori e welfare educativo. Si tratta della più grande azione politica di questo tipo dopo il piano di ricostruzione e democratizzazione post-bellica delle scuole (piano Marshall) e dopo il piano dedicato all’ampliamento dell’istruzione di base voluta dal primo centro sinistra.

Ma perché abbia successo i decisori, proprio in queste settimane, sono chiamati a mettere bene in campo, territorio per territorio, le risorse:

  1. Va “fatto cantare a voce forte” il comma due dell’articolo 3 della Costituzione, rafforzando, per ciascuna misura in campo, il criterio di discriminazione positiva, dando di più a chi parte con meno e, perciò, riparando i danni arrecati, negli ultimi decenni, dalla cosiddetta “spesa storica” (si è applicato nei fatti, un regionalismo iniquo) e, dall’altro, superando i tagli lineari in istruzione che, a partire dal 2007, sono stati ben più dolorosi nelle aree più fragili, lì dove non vi erano “fonti supplenti” (regioni capaci di spendere bene, comuni con spesa corrente consolidata, fondazioni bancarie attente al territorio, reddito medio delle famiglie capace di supplire in qualche modo, imprese con vocazione di responsabilità sociale, etc.).
  2. Va curato l’allineamento, nel prossimo decennio, tra bilancio ordinario, finanziamenti straordinari del PNRR, programmazione europea riunendo le disponibilità PNRR per le strutture con le spese di gestione ordinaria dei servizi: la costruzione di nidi, mense, tempo pieno previsti devono marciare a braccetto con la creazione di personale ben formato. E ciò va assicurato con un coordinamento davvero stabile tra stato, regioni, comuni che è tanto più importante quanto meno le regioni si sono dimostrate capaci nella gestione della spesa corrente in istruzione, formazione, educazione e nell’uso dei fondi UE.
  3. Va sostenuta la sinergia tra comuni, scuole e terzo settore nell’azione di contrasto della povertà dei minori e della povertà educativa, rafforzando la prossimità dell’ente locale alle persone in crescita e i patti territoriali tra queste forze già in campo, sulla base dell’art.118 della Costituzione.   
  4. Va dato ascolto alle buone pratiche in azione (in particolare quelle promosse dal Fondo nazionale di contrasto della povertà educativa minorile), che suggeriscono modelli di sviluppo educativo locale integrato, da 0 a 18 anni, nelle aree critiche del Paese, vere e proprie zone di educazione prioritaria gestite da alleanze educative di qualità.
  5. Vanno regolarmente documentati e accompagnati i risultati e garantita la loro rigorosa valutazione.