Recovery Plan: il modello spagnolo per valorizzare i territori e spendere più velocemente,

di Gustavo Piga

Il Commissario Gentiloni anticipa pubblicamente … l’anticipo di 20 miliardi del Recovery al 2021. Ovviamente si pone la questione di come mobilitarli immediatamente, senza ulteriori esitazioni o ritardi: pende già come spade di Damocle sul nostro Paese il rischio di non portare a termine tutti i progetti entro il 2026, e non si può dunque non comprendere quanto questa prima prova dell’anticipo sia fondamentale per la nostra reputazione.

La memoria portata in Parlamento del Ministro Franco alle Commissioni congiunte, al di là di confermare il quadro d’insieme del precedente governo Conte, si sofferma a lungo sugli aspetti procedurali: “occorre attivare un processo coordinato e ben governato per rispettare le scadenze, che sono molto ravvicinate, e per definire un insieme di progetti organico, concreto e coerente con i vincoli e con gli obiettivi concordati in sede europea. A tal fine siamo impegnati su due fronti: uno di metodo, relativo all’organizzazione del lavoro, e uno di merito, relativo alla qualità dei progetti”.

Un compito immane, certamente benvenuto, ma che preoccupa nei limiti in cui è ancora concentrato sul “definire un insieme di progetti”: le lancette dell’orologio si muovono inesorabilmente mentre noi siamo ancora intenti a definire.

Come uscirne? Una strada c’è e andrebbe imboccata con decisione. Come sempre, è sufficiente guardare alla storia come serbatoio di idee e alle best practice come modello di riferimento e, in tutta franchezza, senza sentire l’esigenza di ricorrere a troppi consulenti. Si scoprirebbe che l’Italia, imitando l’esperienza spagnola della fine di questo primo decennio, ha raggiunto risultati di capacità e rapidità di spesa inusitati affidandosi ad un modello di appalti pubblici di piccola taglia e delegati al territorio.

I programmi di spesa furono in realtà tre. Il primo, finanziato con la Legge di bilancio per il 2019 e gestito dal Ministero dell’Interno, da 400 milioni di euro, ha finanziato 8.263 opere di messa in sicurezza di cui il 57% opere stradali. Gli ultimi dati sul monitoraggio, aggiornati a gennaio 2021, segnano pagamenti per oltre il 76%. Il secondo, previsto dal DL 34/2019 (cd Decreto Crescita) e gestito dal Mise, da 500 milioni di euro, ha finanziato 8.234 interventi di efficientamento energetico e sviluppo territoriale sostenibile. Nonostante la pandemia abbia reso necessaria una proroga dell’inizio dei lavori, a gennaio 2021 i pagamenti effettivi accertati si collocano sotto il 60%. Il terzo, infine, previsto nella Legge di bilancio per il 2020 e gestito dal Ministero dell’Interno, da 500 milioni di euro per ciascuno degli anni 2020-2024. Rispetto all’annualità 2020, i comuni beneficiari sono stati 7.904, e di questi 5.861 (74,15%) hanno iniziato i lavori entro la data del 15 novembre 2020 prevista dalla normativa. Il dato è probabilmente sottostimato perché molti enti hanno difficoltà ad alimentare il portale BDAP. Tutti i programmi sopra riportati hanno quindi raggiunto un buon avanzamento, confermando un valido modello di spesa perché basato su tempi certi per l’attribuzione dei fondi e l’avvio dei lavori e meccanismi di revoca dei fondi.

Come ha sostenuto Giorgio Santilli di recente sul Sole 24 Ore: “il successo di questi programmi nasce proprio dal modello di spesa, inusuale per l’Italia. Non solo, infatti, il finanziamento è destinato a piccole opere … che devono essere cantierabili, ma la norma prevede una scansione ritmata di vari passaggi decisivi, come la presentazione del progetto, l’inizio e la fine dei lavori. Se non vengono rispettati i termini, la sanzione per il comune è il ritiro dei fondi.”

Le cifre stanziate furono effettivamente poche, e quindi ci si può chiedere se ammontari sostanziosi come i 20 miliardi dell’anticipo del Recovery possano essere assorbiti con altrettanta velocità. L’esperienza spagnola conferma questa possibilità.

Parliamo di modello spagnolo riferendoci all’esperienza dell’allora Governo Zapatero, che utilizzò il Fondo statale per gli investimenti locali (FEIL), gestito dal Ministero del Pubbliche Amministrazioni, dotandolo di 8 miliardi di euro (0,75% del PIL) – e poi aggiungendovene altri 5 successivamente. Una politica mirata ad aumentare gli investimenti pubblici a livello locale attraverso il finanziamento di opere pubbliche di nuova progettazione ed esecuzione immediata dall’inizio 2009, di competenza degli enti locali stessi. Fondamentalmente, con tale piano si mirò a contribuire a stimolare l’attività a breve termine economica, influenzando direttamente la creazione di posti di lavoro, rafforzando nel contempo il capitale fisico dei comuni. Nello specifico, i finanziamenti di cui dispone il governo vennero messi a disposizione delle località, andando direttamente a finanziare progetti che comportano miglioramenti nelle dotazioni infrastrutturali comunali, entrambi utilità produttiva oltre che sociale. Il criterio che è stato applicato per la sua distribuzione fu quello della popolazione iscritta nei registri comunali.

Possiamo dunque immediatamente avviare i progetti già presenti e cantierabili sul territorio, premiando le sinergie locali, ad esempio quelle che verranno proposte all’interno delle province e ancor di più quelle inter-provinciali, privilegiandole ai fini di un criterio di allocazione premiale e riservando tali significative cifre per progetti sottoposti 1) entro una certa data, 2) all’interno dei temi del Recovery e 3) che rispettano una stretta scansione dei tempi di “messa a terra”.

Non vedo perché si stia ancora ancora aspettando, le lancette scorrono, la reputazione del Paese è in gioco come mai.