PNRR e la transizione ecologica blu

di Roberto Danovaro

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) prevede, per la prima volta nella storia del Paese, investimenti importanti per progetti di sostenibilità ambientale anche nei mari e della fascia costiera italiana. Il 9 dicembre scorso è stato sottoscritto dal Ministero della Transizione Ecologica e Solidale e dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), un protocollo d’intesa che prevede una spesa di 400 milioni di euro per il periodo 2021-2026. I fondi saranno dedicati a 4 aree principali: 1) realizzare sistemi di osservazione degli ecosistemi marini tramite sistemi di osservazione non stazionari (e.g., navi da ricerca e strumentazioni) e sistemi di osservazione in situ (come gli osservatori sottomarini); 2) mappatura degli habitat marini costieri e profondi di interesse conservazionistico; 3) attività di ripristino/restauro ecologico dei fondali e degli habitat marini e 4) attuazione di misure di tutela.

Gli interventi previsti sono fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità dei mari italiani, sia perché permetteranno di rafforzare la nostra capacità di osservazione e quindi di conoscenza degli habitat marini costieri sia perché si basano su azioni concrete, come quella di rafforzare dei sistemi di protezione degli habitat marini di maggiore interesse conservazionistico o di restaurare gli habitat danneggiati o persi. Inoltre, per la prima volta, saranno rivolti anche agli ambienti profondi che costituiscono la stragrande maggioranza degli ambienti marini e che sono ancora quasi del tutto sconosciuti e privi di protezione.

Gli obiettivi ambiziosi del Pnrr prevedono che il 90% di habitat marini sia mappato e monitorato entro il 2026 e che il 20% degli habitat marini degradati sia restaurato o tutelato. Un traguardo ambizioso e innovativo che consentirebbe, ove realizzato, di mettere il nostro Paese all’avanguardia nei sistemi di tutela del mare e della sua biodiversità. Ad esempio, il potenziamento dei sistemi osservativi permetterebbe di evidenziare le principali criticità da affrontare per attuare la transizione ecologica mettendo in grado di accompagnare in modo virtuoso la transizione energetica. Ad esempio, aumentando la nostra capacità di pianificare l’uso dello spazio marino per gli obiettivi di protezione degli ecosistemi marini e la tutela della biodiversità unitamente al loro utilizzo per la produzione di energie rinnovabili, come lo sviluppo degli impianti eolici offshore.

Ma tra tutte le attività previste, quella probabilmente più ambiziosa è rappresentata dal restauro (o ripristino) degli habitat marini degradati. Il Restauro degli Ecosistemi è il tema lanciato dalle Nazioni unite per il decennio 2021-2030. Si tratta di un progetto globale e parte integrante del Green Deal europeo. Si stima che in Italia siano andati persi oltre il 30% delle praterie sommerse di fanerogame, come la Posidonia oceanica o di ambienti del coralligeno, e fino all’80% di foreste algali. Per non parlare degli ambienti profondi “arati” dalle reti a strascico. Tra gli obiettivi più rilevanti abbiamo quindi la protezione del 30% dei mari prevista dall’Agenda 2030. Cosa tutt’altro che facile essendo attualmente protetto solo poco più del 5% dei mari italiani e con ulteriore 6,5% di aree classificate come Habitat Natura 2000, ma privi di un piano di protezione.

Non meno gravoso è l’obiettivo del restauro degli habitat marini costieri. Restaurare gli habitat marini e farlo su ampia scala spaziale è sicuramente un’impresa non da poco poiché il restauro degli ambienti marini richiede costi, tecnologie e presenta difficoltà ben superiori a quelle date dalla piantumazione di alberi nelle città o nei boschi.  La porzione di habitat degradati da restaurare potrebbe essere anche superiore al 20% delle nostre coste. Inoltre, anche se parlassimo solo di 1700 km lineari, potremmo stimare un costo minimo degli interventi di restauro ecologico compreso tra 1 e 2 miliardi di euro a fronte dei circa 200 milioni previsti complessivamente per la protezione di nuove aree e per il restauro degli habitat marini. L’Italia ha quindi davanti a sé importanti traguardi da raggiungere entro il 2026 e i fondi per fare tutto quanto previsto potrebbero non bastare, ma si deve pur cominciare e credo che questo sia un primo passo fondamentale per il futuro dei mari italiani.