di Gaetano Scognamiglio
La valorizzazione della formazione, intesa come aggiornamento permanente, entra da protagonista nel Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale, dove è considerata “quale diritto soggettivo del dipendente – assumendo il – rango di investimento organizzativo”, come da sempre da noi auspicato. E’ importante notare che il principio può essere considerato di immediata applicazione e quindi le Amministrazioni dovranno destinare risorse adeguate nei loro bilanci.
La formazione, in previsione dell’attuazione del Recovery Plan, assume inoltre un’importanza fondamentale per rafforzare quelle competenze che, se adeguatamente supportate, possono assicurare a dirigenti e funzionari le professionalità per fronteggiare la complessità della legislazione e per rispondere alla necessità di raggiungere gli obiettivi del piano nei tempi stabiliti.
Certamente la semplificazione dei processi è un elemento correlato per il buon funzionamento della PA. Non a caso il patto la richiama fra gli obiettivi principali. Sul punto è necessario peraltro un approccio nuovo, perché è evidente che quanto fatto finora con le migliori intenzioni dai vari uffici semplificazioni non ha funzionato. Forse bisognerebbe partire dagli uffici legislativi, perché sembra assurdo da un lato produrre leggi complesse e dall’altro attrezzare uffici che le semplifichino.
Naturalmente se si vuole innovare, come è nelle intenzioni del patto, è necessario dotarsi di energie nuove e di competenze adeguate. Qui viene in gioco “un piano delle competenze su cui costruire la programmazione dei fabbisogni e le assunzioni del personale, sulla base di una puntuale ricognizione, tenuto conto della revisione dei profili professionali”. L’idea è buona, anche per introdurre nella PA professionalità capaci di guidare la transizione digitale che rappresenta uno dei temi portanti anche del Recovery Plan. Forse per attivare subito i buoni propositi del patto, nell’attesa che il piano venga elaborato, si potrebbe comunque intervenire imponendo tempi certi alle commissioni di concorso, semplificandone composizione e funzionamento. Sempre in materia di competenze è interessante notare che il patto prevede la possibilità che vengano finalmente riconosciute quelle acquisite dalla specializzazione sul campo, presupposto per attivare percorsi di carriera che per molti costituirebbero un doveroso riconoscimento. E a proposito di specializzazioni professionali, un inciso sulla rotazione degli incarichi ai dipendenti pubblici, da riconsiderare nelle sedi opportune, che in alcuni casi rappresenta un vero e proprio vulnus per quelle Amministrazioni che con la rotazione si trovano sprovviste di elementi preziosi in settori dove le competenze specialistiche si acquistano con gli anni.
Sull’altro interlocutore del patto – il sindacato – il Ministro Brunetta versione 2021 sembra aver dimenticato l’approccio della sua precedente esperienza, rivalutando il ruolo delle relazioni sindacali nella contrattazione decentrata, con l’obiettivo di “avere un’organizzazione duttile, capace di adattarsi alle esigenze dei cittadini e delle imprese con rapidità”. Si prevede perciò di adeguare “i sistemi di partecipazione sindacale, favorendo processi di dialogo costante fra le parti, valorizzando strumenti innovativi di partecipazione organizzativa”. Questa è una novità importante, specie sul piano dell’organizzazione e non potrà non avere conseguenze sui piani della performance e in particolare sulla valutazione “oggettiva” della performance, specie in periodo di lavoro agile.
Sulla performance infine è necessaria una discontinuità, come sembra evidente dai risultati del 10° rapporto su ”La PA vista da chi la dirige”, dove la maggioranza dei dirigenti ne certifica il fallimento. Basterebbe forse cominciare a incidere su un elemento fondamentale, quello cioè del tempo in cui vengono attribuiti gli obiettivi sui quali misurare la performance , che nella stragrande maggioranza dei casi si collocano nella seconda metà dell’anno.